martedì 25 settembre 2012

Shangri-La distrutta dal mito



Da Litiang siamo partiti con un pulmino verso Xiangchemg, una brutta città la cui unica attrattiva è il bel monastero sulla montagna e i monaci che girano spediti in moto. Questa è una tappa obbligata per prendere l’unico bus di nove ore per Shangri-La che parte la mattina successiva.

Nei due trasferimenti abbiamo viaggiato sempre tra alte montagne con torrenti e vallate molto belli. I colori sono quelli che si preparano all’autunno con macchie di giallo e rosso tra la fitta vegetazione. La strada, in gran parte in salita, non era altro che uno stretto sentiero che serpeggiava intorno alla montagna. Nel bus qualcuno recitava un mantra che accelerava il mio battito cardiaco e la stizza di cadere di sotto.

I cinesi mangiano sempre, a tutte le ore. Già al mattino presto si fanno dei piattoni enormi di noodles in brodaglia o spiedini in salsa piccante. Il pane non esiste, sostituito egregiamente dal riso… sarà per questo che sono tutti così magri. Il problema è che mangiano continuamente anche quando sono in bus e poi, ai primi tornanti di montagna, vomitano in un sacchetto di nylon che saggiamente il conducente distribuisce alla partenza. E quello che vomita, non si sa perché, è sempre seduto dietro o di fianco a te.

In questi viaggi non è indifferente nemmeno il posto dove siedi, se per esempio in pulmino capiti dietro ad un autista che sputa frequentemente fuori dal finestrino (sputare è una passione dei cinesi), hai il tuo bel da fare, passi tutto il tempo del viaggio sperando che una folata di vento un po’ più forte non riporti dentro il suo sputo, esattamente su di te. Insomma, tra vomiti e sputi arriviamo alla mitica città.

Il mito di Shangri-La
Shangri-La è un luogo immaginario descritto nel romanzo di grande successo “Orizzonte perduto” di James Hilton nel 1933. Nel romanzo si parla di un luogo racchiuso nell’estremità occidentale dell’Himalaya nel quale si vedevano meravigliosi paesaggi, e dove il tempo si era quasi fermato, in un ambiente di pace e tranquillità. Shangri-La era organizzata come una comunità perfetta, dalla quale erano bandite, non per norma di legge ma per convinzione comune, tutta una serie di umane debolezze (odio, invidia, ira, avarizia, insolenza, ecc.) facendone un eden materiale e spirituale in cui l’occupazione degli abitanti era quella di produrre cibo nella misura strettamente necessaria al sostentamento e trascorrere il resto della giornata nell’evoluzione della conoscenza interiore e nella produzione di opere d’arte. 

Molte città sostengono di essere quella mitica descritta da Hilton, ma nel 2002 il governo cinese, per ovvi motivi economici, ha deciso di dare il nome di Shangri-La a Zongdian, che vanta un simpatico centro storico. Il turismo è ovviamente esploso e in dieci anni la città è stata completamente deformata, con l’area centrale strapiena di negozi di souvenir, ristoranti, alberghi, venditori ambulanti, ecc., e orde di turisti, prevalentemente cinesi, che si riversano per le sue vie in piena crisi fotocompulsiva.
Prendiamo una camera in centro e ci lasciamo trascinare dalla folla e dai balocchi, pensando che Shangri-La, al di là del mito, è proprio brutta.

Interno della casa tibetana che ci ha ospitato
per un tè, in primo piano il cesto
con lo sterco di yak per alimentare la stufa.
Cerimonia al monastero Chode Gompa.
“Strumenti d’orchestra” del monastero.

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