mercoledì 17 aprile 2013

Coober Pedy, la città più bucata del mondo

[Australia]  A Coober Pedy dormiamo nel piazzale vicino al distributore, così abbiamo vicino bagni e le docce calde a pagamento (3,5$, è la prima volta che ci capita di doverle pagare). Mentre stiamo cenando arriva un bus della compagnia Greyhound (greyhound.com.au) che copre la tratta di 3.000 km tra Alice Spring e Adelaide. Scendono diversi indigeni e rimaniamo colpiti dal colore scuro della loro pelle e dai lineamenti del viso marcatamente “antichi”.  Avevamo già visto degli aborigeni lungo la costa ma il loro aspetto non era così diverso da quello degli occidentali, probabilmente erano dei mezzosangue.

I diritti negati
Man mano che ci spostiamo verso il centro del continente la percentuale dei nativi che vivono nelle città aumenta considerevolmente e si cominciano a vedere le crepe del sistema australiano, dove tutto sembra essere perfetto, con tanto spazio per tutti. Gli aborigeni non sono, di fatto, trattati come gli altri cittadini: considerati alla pari degli animali (oppure ignorati, a seconda dei punti di vista) nella costituzione del 1901, dove l’Australia era definita la “Terra di Nessuno”, abitata da fiori, piante e animali (il mito della “Terra di Nessuno” è stato rimosso dalla Corte Suprema nel 1991), solo negli ultimi anni c’è stata qualche apertura verso la proprietà della terra su cui hanno sempre vissuto.

Per oltre due secoli il continente è stato progressivamente derubato al popolo aborigeno. I coloni avanzavano e si appropriavano della stragrande maggioranza dell’Australia, talvolta limitandosi a cacciare i nativi, altre volte uccidendoli (solo il 10% degli aborigeni presenti al momento dell’arrivo degli inglesi, nel 1788, sopravvisse alle malattie e alle armi portate dall’uomo bianco). Nel 1967 è stata riconosciuta loro la cittadinanza, ma non la proprietà della terra. Alcuni dei territori tradizionalmente abitati da queste comunità continuano ad essere oggetto di sfruttamento da parte delle industrie minerarie.

Nell’ultimo secolo ci sono stati vari tentativi di assimilazione e di integrazione, alcuni dei quali forzati, come quello chiamato “generazione rubata” dove decine di migliaia di bambini aborigeni sono stati sottratti con la forza alle famiglie d’origine e portati negli orfanotrofi, oppure dati in adozione ai bianchi. Solo nel 2008 il governo Rudd ha chiesto formalmente scusa alle comunità degli indigeni, un gesto atteso da tempo. Malgrado le aperture degli ultimi anni, c’è ancora un atteggiamento discriminatorio nei confronti degli aborigeni, condannato anche dall’ONU in occasione dei giochi olimpici di Sidney. 

La cittadina di Coober Pedy
Coober Pedy è una polverosa cittadina nel deserto di 4.000 abitanti nata nel 1915 quando un ragazzo del posto scoprì l’opale, richiamando persone e avventurieri da qualunque parte della terra e facendo diventare questo luogo la capitale mondiale del prezioso materiale. Per trovare le pietre vengono fatti dei buchi nel terreno di 80 cm di diametro, profondi dai 20 ai 30 metri. Se in questa “carotatura” del terreno si trovano vene di opale si procede a scavare delle gallerie orizzontali, altrimenti il buco viene abbandonato e ci si sposta di qualche metro per riprovare la fortuna. In questo modo la cittadina e l’area circostante è diventata piena di buchi, con aree vietate ai turisti, che rischierebbero di caderci dentro.

Nelle immediate vicinanze della cittadina è ora vietato scavare e le vecchie miniere sono state recuperate facendone delle case, delle chiese e degli hotel, tutti sotterranei, con ingegnosi sistemi di ventilazione. Passiamo l’intera giornata visitando la Revival Church e l’albergo che fa parte della stessa struttura, con le mura di sabbia pressata splendidamente disegnate dalla natura. La temperatura interna di queste strutture sotterranee è di 23°C, costante tutto l’anno, senza riscaldamento e senza aria condizionata. Visitiamo pure la casa privata di Faye (5$ a testa), scavata a mano da tre donne negli anni ’60.

Nel negozio del museo vediamo dei bellissimi esemplari di opale, alcuni del valore di 20.000$ - 30.000$, grandi come sassolini di uno o due centimetri, ma molto colorati. Ci spiegano che l’80% dell’opale trovato è bianco e senza valore (loro lo chiamano “potch”). In un montagnola distante poche centinaia di metri è possibile cercarlo con le proprie mani, ci proviamo, senza fortuna. In compenso troviamo dei geologi francesi che vengono in vacanza in questo posto da cinque anni proprio con lo scopo di cercarlo. Ci mostrano un pezzo “di valore” e alcuni opali etiopi, lo stato più ricco di questo materiale dopo l’Australia.

Prima del tramonto ci spostiamo una trentina di km a nord di Coober Pedy in una zona povera di vegetazione ma ricchissima di colori, chiamata Breakaways Reserve. Quest’aera è famosa per la formazione rocciosa di color bianco e giallo, nota come Castle, che compare nel film “Priscilla, la regina del deserto”, Maurizio la scala salendoci fino in cima, mentre noi ci limitiamo a fare delle fotografie. Nelle immediate vicinanze si trova una piana vasta e inquietante denominata Moon Plain (Pianura Lunare).

La strada sterrata prosegue fiancheggiando una recinzione metallica lunga 5.600 km chiamata “Dog Fence”, sicuramente la barriera più lunga al mondo, eretta per tenere lontani i dingo, cani selvaggi e feroci, dai greggi di pecore del sud. Per la notte decidiamo di fermarci su un altopiano roccioso con una vista che spazia a 360° sull’orizzonte. Ci siamo solo noi. Guardiamo con vera emozione il rosso tramonto che lentamente accoglie le prime stelle.

L'ingresso del museo - miniera di Coober Pedy
I "pozzi" per la ricerca dell'opale, profondi una trentina di metri
Macchinari utilizzati per la selezione delle pietre

Una simpatica donna aborigenana
La formazione rocciosa di color bianco e giallo, nota come Castle, che compare nel film “Priscilla, la regina del deserto”
La piana vasta e inquietante denominata Moon Plain

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